Dunkirk: il personale war-movie di Christopher Nolan | Recensione

2022-07-23 05:32:47 By : Mr. Fisher he

Dopo aver affrontato le sfide dello spazio profondo, portando in salvo l’intera umanità da una Terra morente nelle fasi finali di Interstellar, è giunto il momento per Christopher Nolan di andare ad adattare sul grande schermo un’altra grande evacuazione, questa volta realmente accaduta: l’Operazione Dynamo, detta anche “il miracolo di Dunkerque“. Ciò che è avvenuto sulla spiaggia della cittadina marittima francese durante la Seconda Guerra Mondiale, mancava di una trasposizione cinematografica dal 1958 (Dunkerque di Leslie Norman), nonostante appaia brevemente in un indimenticabile piano-sequenza firmato Joe Wright (Espiazione, 2007). Dieci anni più tardi, sarà un altro regista britannico a risvegliare la memoria collettiva di un evento storico che ha drasticamente cambiato le sorti del mondo, sovvertendo le regole narrative e stilistiche del war-movie hollywoodiano. Per chi non lo sapesse, stiamo parlando della più grande evacuazione navale della storia che ha visto 350.000 mila soldati dell’esercito alleato, per la maggior parte composto da giovani inglesi, essere salvati da morte certa grazie a una mobilitazione civile autonoma. Furono quasi 700 imbarcazioni, per lo più navi da pesca civili, a raggiungere con successo la nota spiaggia riuscendo dove gli enormi e meno agili cacciatorpedinieri militari fallirono ripetutamente. Ed è proprio attraversando la Manica seguendo il percorso di queste barche che negli anni ’90, durante una gita con l’allora fidanzata Emma Thomas, il futuro cineasta prometterà a se stesso di adattare l’accaduto sul grande schermo, una volta acquisita l’esperienza necessaria con i grandi set. Dopo aver oscurato il sole e ricreato un acquazzone dal vivo in Inception, dopo aver diretto una delle più grandi guerriglie urbane in The Dark Knight Rises e dopo le riuscitissime riprese tra miniature ed enormi ricostruzioni di Interstellar, nel 2015 Christopher Nolan propone lo script di Dunkirk a Warner Bros. Senza indugi, il progetto entra immediatamente in pre-produzione con un budget di 100 milioni di dollari, approdando nei cinema di tutto il mondo due anni più tardi e andando a conquistare ben 3 Premi Oscar.

Nel maggio del 1940, l’esercito tedesco invade la Francia con una violenza inaspettata, costringendo così le forze alleate a indietreggiare giorno dopo giorno. Accerchiati da ogni lato, sulla spiaggia di Dunkerque circa 300.000 soldati inglesi attendono di essere evacuati via mare prima che i nazisti riescano a sfondare le ultime barricate francesi presenti in città. Il molo, lungo quasi un chilometro e affollato di giovani britannici, viene a più riprese bombardato dai caccia Stuka dell’aviazione tedesca, mentre in patria vengono requisiste centinaia di navi civili per organizzare il disperato salvataggio di soli 30.000 uomini. Nonostante le premesse, una delle più schiaccianti sconfitte militari è destinata a tramutarsi in un clamoroso successo con il salvataggio marittimo più imponente di tutti i tempi.

Per la prima volta nella sua carriera, Christopher Nolan si trova di fronte alla trasposizione di un evento storico realmente accaduto ed era anche giusto immaginare un ipotetico punto di rottura all’interno della sua filmografia. Non a caso, lui stesso aveva più volte espresso il desiderio di voler girare senza alcuna sceneggiatura, in modo da poter dare maggior risalto all’attesa dei soldati, bloccati su una spiaggia – che assomiglia tanto a un limbo – tra la vita e la morte. Tuttavia, su consiglio dalla moglie e produttrice Emma Thomas, il regista abbandona l’idea andando così a scrivere quella che diventerà la sua sceneggiatura più breve, composta da sole 76 pagine. Con i suoi 106 minuti, Dunkirk è – dopo Following – il suo lungometraggio più breve capace, anche grazie a un minutaggio inconsueto per il genere, di scardinare la formula del war-movie convenzionale, spogliando i protagonisti di qualsiasi tipo di background e ponendo l’evento storico al centro dell’opera. Ogni parola non necessaria alla sopravvivenza non viene pronunciata, donando così voce ai silenzi e agli sguardi vuoti di chi è obbligato a fissare quella piccola striscia di mare tra Francia e Gran Bretagna, che gli impedisce il rientro a casa. Ogni azione, movimento o ripresa è funzionale ed essenziale, in perfetto equilibrio tra racconto storico e intrattenimento. Ciononostante, il primo film di guerra di Christopher Nolan si è rivelato essere coerente con la filmografia passata sia dal punto di vista stilistico che tematico.

A un primo livello fruitivo, la vicenda viene dichiaratamente strutturata su tre diverse linee narrative destinate a collimare, ognuna caratterizzata da un’ampiezza temporale differente e montate in modo da stimolare lo spettatore a una nuova visione, per poter ricostruire temporalmente l’accaduto in perfetto stile Memento. Quanto vediamo accadere sulla vera spiaggia di Dunkerque attraverso gli occhi di Tommy (Fionn Whitehead), il giovane soldato della British Army miracolosamente sopravvissuto ad un assalto tra le vie cittadine a inizio pellicola, si svolge durante un’intera settimana. Per questa sezione, la troupe ha eseguito un enorme lavoro di riallestimento, riportando il luogo esattamente come appariva nel 1940 e ricostruendo fedelmente il molo: simbolo di speranza per la fanteria inglese e obiettivo da distruggere per le forze aeree nemiche. La linea narrativa di Tommy è senza dubbio la principale, dove il ragazzo tenta ripetutamente di abbandonare la Francia salendo a bordo di qualsiasi nave gli capiti a tiro, persino fingendosi infermiere con un anonimo soldato appena incontrato. Non a caso questo è l’arco della maschera – elemento cardine della poetica nolaniana – in cui le nazionalità vengono taciute e dove le menzogne si rivelano esser un’arma potente nel tentativo di aver salva la vita. Tuttavia, le maschere sono destinate ad andare in frantumi quando la morte è più vicina che mai, rivelando così la vera natura dei “prigionieri” sulla sabbia francese, pronti a sacrificare senza rimorso un estreneo al commilitone o a battersi per non venir meno alla propria morale. La sezione marittima si svolge invece un’unica giornata e ha inizio sull’altra sponda della Manica, nella Gran Bretagna meridionale. La Royal Navy è intenta a sequestrare le imbarcazioni civili per poter organizzare il salvataggio di almeno 30.000 uomini, così come richiesto da Winston Churchill. Il Sig. Dawson (Mark Rylance) non è però disposto a lasciare la propria imbarcazione alla Marina e decide di partire, insieme al figlio e al giovane George (Barry Keoghan), alla volta di Dunkerque. Questo è l’arco della verità non detta, dove il padre dimostra di conoscere fin troppo bene la guerra e le cicatrici indelebili che lascia su chi è chiamato a combatterla. Pur non rivelando mai il suo passato, è chiaro che l’uomo ha preso parte alla Grande Guerra e, per questa ragione, sente il bisogno di fare qualcosa per salvare quante più vite possibili. Capisce l’importanza della sua traversata e non esita a continuare la navigazione nonostante le gravi condizioni in cui verserà il giovane George, a seguito dell’accidentale colluttazione con l’anonimo soldato sotto shock, interpretato da Cillian Murphy. Nei confronti di quest’ultimo, il saggio marinaio si troverà costretto a nascondere una seconda verità, a pronunciare quella bugia bianca tanto cara a Christopher Nolan, affinché il sopravvissuto non debba portare un altro fardello nel cuore per il resto della vita. La terza linea narrativa si svolge nei cieli e, rappresentando soltanto un’ora, segue tre piloti dell’aviazione britannica a bordo dei rispettivi Spitfire. Il loro compito è quello di dare supporto aereo alle navi intente a rientrare in patria, facili bersagli per i caccia della Luftwaffe. Il leader invisibile della squadra, doppiato dal porta-fortuna Micheal Caine, viene immediatamente abbattuto e i successivi scontri costringeranno anche Collins (Jack Lowden) all’ammaraggio. Sarà Farrier (Tom Hardy) l’unico a raggiungere Dunkerque e a rivelare, attraverso le proprie gesta, l’arco del prestigio. Avendo visto il connazionale sfrecciare sopra la spiaggia poco prima a motore spento perchè rimasto senza carburante, l’esercito britannico e lo spettatore sono portati a credere che nulla possa impedire allo Stuka nemico di bombardare nuovamente il molo. Eppure, fuori dallo schermo, il pilota dello Spitfire riesce a invertire la rotta, sorprendendo e abbattendo il caccia tedesco, compiendo così un eroico salvataggio: sconfiggendo quel piccolo ritardo temporale che sarebbe costato caro.

Dunkirk è un war-movie fuori dall’ordinario anche per il fatto che Christopher Nolan ha deciso di non mostrare mai l’esercito tedesco ne tantomeno di nominarlo. Unicamente in un’occasione il disilluso scozzese Alex (Harry Styles), colto da un impeto d’ira, invocherà il nemico con il dispreggiativo Jerry, traducibile con il nostro crucco. Tuttavia, commetteremmo un grande errore a pensare che l’unico nemico sia l’esercito nazista: il vero avversario invisibile è il tempo.

La differente dilatazione temporale delle tre storyline non è dunque solo un vezzo stilistico, ma ci mostra come tutte le parti in causa stiano combattento la loro personale battaglia contro il tempo. Se per chi è in volo, ogni secondo in aria è carburante utilizzato, per Tommy e gli altri soldati sulla spiaggia il trascorrere dei giorni, delle ore e dei minuti è soltanto l’attesa per qualcosa che ha da venire (una nave, la marea, una bomba, la salvezza o la morte). Per il Sig. Dawson invece, le 24 ore di traversata rappresentano una guerra personale che sente di avere il dovere morale di condurre, nel tentativo di raggiungere quelli che potrebbero essere i suoi figli anche a costo della vita. Accantonando per un attimo il tempo, questa affermazione ci porta a riflettere sull’inedita accezione del concetto di paternità in Dunkirk rispetto al resto della filmografica nolaniana. Infatti, fino a questo momento eravamo stati abituati ad assistere ai disperati tentativi di un padre per tornare dai suoi affetti (Interstellar, Inception), oppure all’insegnamento di una figura paterna morente nei confronti di un giovane destinato a raccoglierne l’eredità (Insomnia, The Dark Knight Trilogy). Qui avviene invece qualcosa di significativamente diverso: la Patria assume il duplice ruolo di genitore e casa cui fare ritorno, agendo attraverso le gesta dei civili avventuratisi in mare e del Comandante Bolton (Kenneth Branagh). In un lugometraggio dove le figure femminili vengono ridotte a comparse, sarà dunque la Gran Bretagna a ergersi come Madre(patria) dall’ampio abbraccio, pronta ad accogliere i suoi figli non da vigliacchi ma da eroi, condattati a combattere un conflitto più grande di loro. Tuttavia, affinché gli altri possano tornare a casa, qualcuno dovrà sacrifarsi. Sarà Ferrier che, con quell’incredibile magia destinata a salvere i suoi compatrioti dalla distruzione del molo, firmerà coscienziosamente la sua condanna a morte. Dopo aver assistito alla sua cattura per mano di un esercito tedesco che finalmente possiamo intravedere, con l’immagine dello Spitfire in fiamme viene chiuso il cerchio dei quattro elementi. Il regista ci manda dunque un ultimo messaggio e, dopo aver narrato le eroiche gesta tra aria (il cielo), acqua (il mare) e terra (il molo), conclude la pellicola con il fuoco, con la cattura del pilota e la distruzione dell’aereo, ricordandoci come la guerra lasci dietro di sè soltanto morte e distruzione.

Con questa metorifica chiusura Christopher Nolan firma il suo personale ed essenziale war-movie, raccogliendo così l’eredità del capolovoro di Terrence Malick La sottile linea rossa, e discostandosi con forza dalle produzioni hollywoodiane costellate da grandi monologhi, backstories di espiazione già sentite e linee narrative amorose poco interessanti. Qui ci si concentra sull’evento storico, catapultando lo spettatore all’interno del conflitto anche grazie all’utilizzo sperimentale delle camere IMAX, montate a bordo di velivoli – ben prima di Top Gun: Maverick – per inedite riprese estramemente coinvolgenti. Lo spettatore è dunque portato a vivere, attraverso la magia del Cinema, una delle pagine più importanti e clamorosamente dimenticate della Storia Moderna. Se l’esercito inglese fosse stato annientato, per gli Alleati il secondo conflitto mondiale si sarebbe concluso a meno di anno dall’inizio e l’Europa, per non dire il Mondo, avrebbe potuto essere drasticamente diverso. Ciò che avvenne su quella spiaggia è la prova che anche una scottante sconfitta può tramutarsi in una clamorosa vittoria e, cinematograficamente parlando, Dunkirk è una trionfo su tutta la linea. Michele Finardi

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